Si è da poco conclusa ufficialmente la settima edizione del festival Internazionale del Film di Roma e molte critiche ruotano intorno all’evento che, sicuramente, ha interessato il pubblico e la stampa, essendo le critiche una parte e stimolante e partecipativa (se ne parli bene o male, purché se ne parli). Non si è trattato di una rassegna dei classici film da ridere o sdolcinati, ma ha abbracciato tematiche di tipo, se vogliamo, riflessivo e certamente provocatorio. Questo probabilmente è stato l’intento di Muller, quello di stimolare sia il pubblico sia i media a parlare del suo festival come un qualcosa di nuovo, distante dai modelli classici. Non si può, infatti, restare indifferenti alle tematiche messe in gioco e proposte al pubblico, quali quella del disagio interiore, dei rapporti familiari, dei rapporti amorosi e altro.
A vincere il premio per la miglior sceneggiatura sono stati Noah Harpster e Micah Fitzerman – Blue per il film The Motel Life, mentre ad Arnan Valls Colomer è andato il premio miglior contributo tecnico per la fotografia di Mai Morire. Miglior interpretazione femminile a Isabella Ferrari, protagonista di E la Chiamano estate di Paolo Franchi, vincitore del premio miglior regia. Film criticatissimo, nonostante sia un documento sull’interiorità, in un certo senso, di una coppia di 40enni, mai arrivati in intimità, perché appagati soltanto dalle carezze e dagli abbracci. Il film ha messo in scena, infatti, seppur con particolare richiamo al sesso, quella che è la storia di Dino ed Anna, personaggio interpretato da Isabella Ferrari chiamata a ricoprire un ruolo strano ma reale. Dino è un’anestesista che non si sente all’altezza della bellezza della moglie e perciò si rifiuta di toccarla, trovando rifugio dal suo malessere nei rapporti con scambisti e prostitute. Paolo Franchi ha realizzato un film molto provocatorio, avendo trattato una tematica che spesso, come ha detto lo stesso regista in conferenza, trova molta maleducazione in Italia. Nel film, però, non c’è solo il sesso o solo il nudo, ma anche molta interiorità di un personaggio che vive nella condizione di perenne inferiorità (io non sono quello che credi e tu sei bellissima, troppo per me) e, dovrebbe essere visto dall’inizio alla fine, prima di darne una definizione o un parere, poiché solo al culmine della narrazione è possibile capirne il senso, nel momento in cui il personaggio centrale di Dino giunge alla completa evoluzione e Anna arriverà al punto di tradire il marito e di lasciarlo. L’acqua del mare, elemento centrale della pellicola, componente estremamente riflessiva, si è vista all’inizio della storia a denotare l’ambientazione e alla fine, quando Anna lascia il marito sulla riva del mare, momento che nasconde, uno stimolo alla libera interpretazione, destando curiosità e non “chiacchiere”. Certo è un film semplice che magari lascia indifferenti, forse un po’ scomodo ma comunque necessita di un’attenta valutazione, non solo guardando le scene frequenti di nudo messe, probabilmente, per infondere ancor più la naturalezza dei personaggi nel trattare il tema riflessivo e intimo.
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Premio per miglior interpretazione maschile assegnato a Jérémie Elkaїm per Main dans la main e quello per miglior attrice emergente a Marilyne Fontaine per Un enfant de toi, altri riconoscimenti assegnati a registi, scenografi e montatori dei film, tra cui il Marc’Aurelio d’Oro per il miglior film in assoluto, consegnato a Larry Clark per Marfa Girl, una pellicola in cui spicca una forte rivalutazione della storia giovanile di Adam, a contatto con la fidanzata Inez, con la madre e con gli amici in una cittadina del Texas, Marfa, apparentemente tranquilla ma turbata dal poliziotto Tom, ossessionato, violento e molto scurrile. La ragazza di Marfa è un’artista che funge da mediatore tra tutte le varie storie raccontate, a partire da quella di Adam, fino ad arrivare a quella dello stesso Tom, ucciso poi dal ragazzo.
I premi sono stati assegnati dalla madrina Claudia Pandolfi, affiancata dal maestro Muller e dalla giuria Internazionale, composta da Timur Bekmambetov, Valentina Cervi Edgar Cozarinsky, Chris Fujiwara, Leila Hatami, P.J. Hogan e presieduta da Jeff Nichols, tutti cineasti del panorama mondiale, di diversa provenienza, come a segnalare l’intento della Fondazione Cinema per Roma, rappresentata dal presidente Paolo Ferrari, di allargare, estendendolo, l’orizzonte della celebrazione romana della settima arte.